Leggere, Libri

L’acqua del lago non è mai dolce: quando il riscatto non è una possibilità

L'acqua

L’acqua del lago non è mai dolce

Tra i dodici libri candidati al Premio Strega 2021, è proposto da Giuseppe Montesano, con la seguente motivazione:

«È con piacere che presento a questa edizione del Premio Strega L’acqua del lago non è mai dolce di Giulia Caminito, una storia ambientata nel paese lacustre di Anguillara Sabazia, una provincia italiana simile e diversa da molte altre province letterarie: dove le case popolari si intrecciano alle villette, all’antico centro storico, al lungolago e ai capannoni in uno sviluppo disarmonico che rispecchia e genera le disarmonie del vivere, uno sviluppo malato nel quale si annidano oscuri i conflitti.

In questi luoghi narrativi Giulia Caminito dipana i percorsi di una famiglia proletaria dominata dalla potenza e prepotenza di una madre, Antonia, la prima a imporsi sulla scena con uno stratagemma e una protesta degni della migliore tradizione neorealista, quella inventiva degli inizi.

Ma autentica protagonista del romanzo è sua figlia Gaia: voce narrante che sembra spuntare dal profondo, e sguardo che smaschera ogni convenzione sociale – pur restando alla fine imprigionata nelle contraddizioni di un benessere sempre inseguito e sempre destinato a sprofondare nella melma.

La maturità narrativa raggiunta da Giulia Caminito sta proprio nella voce e nei gesti di Gaia, nella quale la timidezza affilata e la rabbia soffocata vengono nutrite dalla vergogna, la fatica di un’adolescenza sgraziata sboccia in violenza e la tenerezza si deforma in strazio, secondo una scrittura che è capace allo stesso tempo di distanziamento stilistico e di immedesimazione emotiva.

E colpisce il modo in cui la Caminito sa cogliere una realtà contemporanea tracciando una parabola sociale che punta inesorabilmente verso il basso: dalla testarda speranza con cui la madre tenta di restare a galla in un mare di ingiustizie, alla sconfitta desolata della figlia che affonda in un’acqua avvelenata dal risentimento, appesantita da miraggi scadenti e da una cultura che promette ma non mantiene

L’acqua del lago non è mai dolce: il rifiuto della propria appartenenza

L’odio nei confronti della propria appartenenza è il motore dell’ultimo libro di Giulia Caminito: L’acqua del lago non è mai dolce, per Bompiani. L’autrice, dopo aver scritto due romanzi storici acclamati giustamente dalla critica (La grande A, 2016, Giunti e Un anno verrà, 2019, Bompiani) si sposta ora sulla contemporaneità, tra gli anni ’90 e il primo decennio del 2000.

Tutte le vite iniziano con una donna e così anche la mia, una donna con i capelli rossi che entra in una stanza e ha addosso un completo di lino.

Sono le  prime righe del libro e la donna in questione è Antonia, la madre della protagonista.

Un lungo incipit descrive Antonia alle prese con un ufficio dell’ATER. Antonia non ha un appuntamento quel giorno. Si siede a terra come forma di protesta finché non “la alzano e la spostano di peso, la sollevano per braccia e gambe e allora la camicetta si apre e mostra un reggiseno senza ferretto, seni gonfi, la gonna si strappa e spuntano le sue mutande, mia madre ha già fatto a brandelli il vestito buono e scalcia e grida, come fiera spietata”.

Lo stoicismo e l’imperturbabilità di Antonia sono ciò che la figlia giudica e non perdona.

Gulia Caminito ci  scaraventa dentro la storia, fin dalle prime pagine, con una violenza quasi irritante, e per questo dolorosamente realistica. L’intero libro è percorso da una fastidiosa  atmosfera costantemente ansiogena e molesta.

Al centro del romanzo c’è la vita di una famiglia povera, emarginata nella propria condizione di abbandono. La storia è filtrata attraverso gli occhi di una giovane ragazza, Gaia. Il suo nome sarà rivelato molto tardi nel romanzo, e questa assenza di identità acuirà il senso di disagio che imperversa dall’inizio alla fine.

Gaia è una ragazzina che non sa cosa sia la felicità ma che non se l’è mai posta come obiettivo.  E il suo sembrare indifferente a tutto e a tutti contrasta con Antonia, una madre coraggio, che non sa ammettere di lottare per se stessa, preferendo nascondersi dietro al bene superiore della felicità dei figli.

L’acqua del lago non è mai dolce: un destino al margine

La rabbia è il motore dell’intero romanzo, rabbia che sa trasformarsi in odio: l’odio di una bambina che nasce e vive la sua prima infanzia in una sorta di scantinato, che sua madre Antonia ripulisce con grande cura dalle siringhe che ingombrerebbero altrimenti lo spazio davanti alla porta: una striscia  di cemento in cui Gaia e suo fratello Mariano giocano.

Antonia però lotta e non si arrende e grazie anche a un colpo di fortuna riesce a ottenere per i suoi quattro figli e per il suo compagno invalido  un appartamento, in una cittadina vicino Roma, Anguillara, sul lago di Bracciano.

Il lago è lo spazio intorno al quale si svolge la vita di Gaia che va alle medie, dove i suoi compagni a causa di un taglio di capelli artigianale, per mano di  Antonia, iniziano a prendersi gioco di lei. Ma, la ragazzina, dopo aver subito silenziosamente gli scherzi e le offese abbastanza a lungo, reagisce con una violenza che non ripristina la giustizia. Gaia non riesce a essere indifferente, non si salva con l’astuzia, non mette in ridicolo il compagno che la perseguita riuscendo così a estinguere le maldicenze sul suo conto. Lei semplicemente lo annienta.

Gaia mette in scena quel conflitto insanabile tra  giustizia e  rabbia sociale: ci si ribella per i propri diritti e lo si fa commettendo crimini più o meno gravi. Così facendo, cercando di distruggere tutto ciò che le fa male, Gaia si barrica sempre di più nella sua condizione  di vittima: ferma nel suo diventare cattiva, si isola e aderisce interiormente al suo destino di emarginata.

L’adolescenza per Gaia vedrà incarnarsi il principio di omissione nei suoi rapporti più stretti.

So soltanto che della nostra infanzia bisogna tacere i dettagli, di nostro padre diciamo che è invalido e non altro, sulla casa diciamo che ci abitiamo e non altro. Non è fingere e non è mentire, è omettere.

Sono i dettagli che mettono  distanza tra Gaia e i suoi coetanei. In una società costruita sul consumismo, sono i particolari, l’accumulo di beni superflui , come i cuori in cartoleria a febbraio, a costruire l’identità.

Quando siamo andate dal cartolaio per comprare la cancelleria necessaria ho provato a proporre a mia madre una Smemoranda nera e lei ha guardato il prezzo e m’ha detto che con due quaderni di piccole dimensioni ce lo saremmo fatte da sole il diario, come ogni anno. Bastava dividere la pagina a metà, scrivere il numero e il giorno, lasciare le righe per i compiti.

L’acqua del lago non è mai dolce: nessuna redenzione

Ma non c’è nessun lieto fine, nessun miracolo che trasformi una privazione, in un prezioso desiderio.   Non c’è nulla di prezioso nella vita di Gaia. E la sua stessa famiglia , e i legami di sangue, si convertono in un ingombro violento

Invitare qualcuno a casa mia vuol dire, senza scampo, esporlo alla conoscenza di chi divide con me un legame di sangue.

L’acqua del lago non è mai dolce non è una storia di riscatto. Non ti salva l’amore, non ti salva lo studio (Gaia si iscrive a filosofia “Era troppo semplice iscriversi a lingue, a lettere, a scienze politiche, bisognava trovare flagello, eccedere, pescare dal mare il pesce con più spine e ingoiarlo a bocca aperta”). È un romanzo che al contrario mette in crisi il concetto stesso di riscatto.

Molto spesso non esistono soluzioni. E se la vita si accanisce, è  retorico e ingenuo immaginare o suggerire vie di redenzione.

Io sono diventata la figlia a carico che non produce, non moltiplica, non incassa, non cucina e non ha tesori o dispense, la figlia mai cacciata e mai tornata, la statua di sale che a tutti tocca vedere all’ora di cena, eppure vorrei interrogare mia madre, chiederle cosa dovrei fare, perché lei ha sempre trovato soluzioni sul da farsi, sul mettersi in moto e risolvere, mentre io ho solo preso armi e carrarmati e ho attaccato altrui barricate, il suo agire è progetto, il mio agire è guerra, nel primo caso l’obiettivo è noto, nel secondo ciò che si sa è solo che conviene distruggere prima che siano gli altri a pensarci.